07 aprile 2009

Tumori e cancri: loro sparizione per autolisi

Tumori e cancri: loro sparizione per autolisi
Dottor Herbert M. Shelton, dal libro “Tumori e cancri: loro sparizione naturale per autolisi
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I soli cancri che essi guariscono sono quelli che non sono cancri. Asportare un tumore benigno e dire che con ciò si è guarito un cancro ai suoi inizi, costituisce, suppongo, una buona pubblicità; ma è anche una forma di sfruttamento del pubblico, che dovrebbe essere guarita mediante il plotone di esecuzione.
A meno che la causa di un male non sia nota, trattarne i sintomi significa perdere il proprio tempo e andare incontro a un disastro.

I medici possono diventare sempre più abili, nel guarire il cancro, ma la mortalità cancerosa continua a crescere. Se sanno guarire il cancro, perché non lo fanno? Cosa aspettano? Ma essi non sanno guarire. Non sanno guarire un raffreddore, non sanno guarire l'acne né i brufoli; non sanno guarire una semplice indigestione; non sanno guarire una semplice costipazione; non sanno guarire l'insonnia, riescono soltanto a fare, di coloro che ne soffrono, degli schiavi della droga. I medici stessi muoiono frequentemente di cancro, così come i membri delle loro famiglie. Un corpo professionale che risulta impotente di fronte a malanni semplici, quasi completamente funzionali, come quelli ora citati, ma che pretende di essere capace di guarire una malattia complessa come il cancro, pur confessando di ignorare la causa, dovrebbe essere spedito in un manicomio.

I membri di questo corpo hanno forse compiuto enormi progressi nella diagnostica e la cura del cancro, nel corso dei tremila anni che sono trascorsi da quando gli Egizi hanno per la prima volta studiato questa malattia; ma, per quanto riguarda la scoperta della causa del cancro, non hanno fatto molta strada. Eppure, la conoscenza della causa di una malattia ha un'importanza primaria.

Citiamo ancora una volta Small: «Alcuni chirurghi possono asportare quasi tutti gli organi del bacino e riportare i propri pazienti a una vita attiva dopo qualche settimana. Tuttavia, è virtualmente sicuro che in questo momento ci siano centinaia di donne che soffrono perché affette, per esempio, di cancro al collo dell'utero e che, per eccesso di pudore, andranno dal medico in ultima risorsa, soltanto dopo che vi saranno state costrette dal dolore o da altro insopportabile sintomo. Allora, sarà probabilmente troppo tardi».

Il grosso delle operazioni chirurgiche è soltanto teatralità spettacolare, con finalità commerciali. La chirurgia non ha mai salvato un solo canceroso.
Asportare una delle ghiandole, o uno dei canali del seno, per una tumefazione benigna e non uccidere in questo caso la vittima della frenesia chirurgica, è una cosa; asportare un sicuro cancro e registrare un nuovo caso di «ablazione riuscita di cancro», è ben altra cosa.
L'ablazione di un tumore canceroso è già, di per sé, una azione stupida. Ma, dopo aver effettuato l'ablazione, si accelera la recidiva del tumore per mezzo dei raggi X e del radio, che complicano la situazione provocando un indurimento dei vicini tessuti «normali» e preparano così l'estensione del cancro nell'area vicina al tumore primitivo.

Soltanto il più stupido dei somari può credere che una malattia sia guarita quando un organo o tutti gli organi contenuti in una cavità siano stati asportati. Non sarà certamente questo a sopprimere la causa della malattia. Che alcune donne riescano a sopravvivere a una tale operazione è cosa certa, poiché molte vi sono riuscite; ma bisogna dire che la vita che conducono in seguito, è lungi dall'essere attiva. In questo stesso momento, nel paese vi sono migliaia di queste donne, che soffrono cioè a causa della perdita degli organi asportati. Per altro verso, molti dei decessi che le statistiche attribuiscono alla mortalità cancerosa non sono dovuti al cancro, ma ad operazioni di questo genere.

Ogni anno la chirurgia uccide migliaia di vittime, la cui morte viene imputata al cancro. Molte di tali vittime non soffrivano di cancro; lo si sospettava soltanto.
Il vero carattere delle relazioni mediche è messo in luce da un estratto che Small ci fornisce di un rapporto sullo studio del «problema critico del ritardo», redatto a cura dei Dottori John E. Leach e Guy F. Robbins, del Memorial Hospital di New York. Vi si legge: «Malgrado tutti i progressi realizzati nella diagnostica e la cura del cancro negli ultimi venticinque anni, è un fatto che la riduzione della mortalità cancerosa, virtualmente possibile, è appena cominciata». In realtà, non è vero che sia iniziata una riduzione della mortalità cancerosa; semmai il suo aumento. E’ anche vero che la cura del cancro è oggi la stessa di venticinque anni fa: chirurgia, raggi X, radio.
La causa del cancro, oggi, non è più nota ai medici di quanto non lo fosse venticinque o mille anni or sono.

Questi stessi medici affermano che «la causa prima di questo insuccesso (l'incapacità di ridurre la mortalità cancerosa) non è dovuta alla mancanza di adeguati metodi terapeutici. La causa fondamentale di tale stato di cose è il tempo eccessivo che trascorre tra l'apparizione dei primi sintomi nel paziente e il momento in cui la cura comincia effettivamente». Questa dichiarazione avrebbe un senso se i medici conoscessero la causa del cancro e il loro intervento avesse un qualsiasi effetto positivo. Non consiglio mai di tardare a rimediare a un disturbo, qualunque esso sia, poiché quando una malattia si lascia evolvere, essa non può che peggiorare, a meno che non se ne sopprima la causa. Ma le visite mediche non rivelano mai le cause delle malattie; infatti, esse non hanno questa finalità.

Un medico appare insieme ridicolo e stupido, quando parla di guarire il cancro, o qualsiasi altra malattia la cui causa gli è perfettamente ignota.
Il medico, che non sa guarire un raffreddore, si dice sicuro di portare a buon fine un fenomeno patologico complesso come l'artrite e presto dirà di poter guarire anche il cancro. Le sue illusioni sulla guarigione sono così ben radicate, che egli immagina di poter guarire senza aver bisogno di eliminare la causa di un male, o solo di conoscerla. Non si può definire il cancro come un tumore maligno le cui cause sono ignote ed estranee all'organismo. Le cellule di tutti i tessuti cancerosi, presentando una deviazione patologica, sono notevolmente differenti dalle cellule di tipo normale dell'organismo.

Il cancro, si dice, nasce e si sviluppa in un punto sottoposto a una «irritazione cronica». E’ spiacevole che, nello studio dell'evoluzione del cancro, non si pensi mai ad identificare le cause che hanno portato a tale irritazione cronica. La nascita e l'evoluzione di questo stato di irritazione cronica non sono oggetto di alcuna indagine.
Se si avesse una chiara conoscenza di qualsiasi malattia sin dal suo insorgere, delle cause che l'hanno provocata e della necessità di sopprimerle, non esisterebbero malattie croniche. Non vi è differenza alcuna tra l'origine, l'inizio, di un cancro e quello di una tubercolosi o un'apoplessia.
La trasformazione patologica di un organismo può manifestarsi in diversi modi, ma l'inizio è sempre lo stesso.

Ogni cattiva abitudine, mentale o fisica, riduce la riserva di energie nervose, comportando così il rallentamento delle funzioni di eliminazione e, conseguentemente, la ritenzione e l'accumulo di residui delle cellule dell'organismo, causa di tossiemia.
Quando la tossiemia raggiunge un tasso elevato, si produce una crisi dell'organismo (malattia acuta, febbre), mediante la quale esso mobilita le proprie energie per eliminare l'eccesso di residui.
Poiché la causa della tossiemia non viene mai eliminata, le crisi si susseguono, fin quando sfociano in una malattia cronica. Tutti i punti attraverso i quali il corpo elimina i suoi detriti vengono allora sottoposti a un'irritazione caratteristica.

Siccome le cattive abitudini non scompaiono e, conseguentemente, la tossiemia non diminuisce, i punti di eliminazione continuano a essere sottoposti ad irritazione anche dopo la sparizione dei sintomi.
Ogni raffreddamento aggrava l'irritazione, finché la stessa si trasforma in infiammazione. L'infiammazione aumenta, o sfocia in una ulcerazione. L'infiammazione cronica finisce per rendere duri i tessuti, creando uno stato d'indurimento. All'indurimento può seguire uno dei tre seguenti fenomeni: cancro, tubercolosi, varie malattie degenerative e paralizzanti, dette «malattie della vecchiaia», che hanno preso questo nome soltanto perché esse appaiono dopo una lunga evoluzione. L'ulcerazione del collo della matrice è la conseguenza di un catarro cronico di tale parte dell'organo; l'ulcerazione dell’intestino tenue è la conseguenza di un catarro intestinale cronico; l'ulcera gastrica è la conseguenza di una gastrite cronica. Le ulcere del naso sono la conseguenza di un catarro nasale cronico.

Nessuna affezione maligna lo è sin dall'inizio, e molti pazienti, se lasciati a se stessi, si ristabilirebbero prima dell'apparizione dei sintomi di malignità; ma il trattamento al quale vengono sottoposti finisce spesso per provocare una rapida trasformazione di un male benigno in male maligno incurabile.
Le masse cellulari anomale che costituiscono i neoplasmi traggono origine dal leggero aggravamento di uno stato di circolazione sanguigna già ostruita. La stessa cosa avviene per le iperplasie.
Il cancro è uno stato patologico caratterizzato dal restringimento graduale dei vasi sanguigni (dai quali tutte le cellule ricevono il proprio nutrimento) fino all'occlusione completa di tali vasi. Un neoplasma che si metta a «crescere» sul seno, per degenerare nell'orrenda massa putrescente chiamata cancro, ha, così, un'origine molto semplice.

Quando un tumore ha una capsula spessa e resistente, che intralcia la sua crescita volumetrica, il suo contenuto tende a raggiungere una tale densità, che i capillari e le piccole arterie finiscono per risultare completamente ostruite. Il tumore si trova, cosi, sempre più tagliato fuori dal circuito sanguigno e finisce per morire di asfissia. Il nucleo del tumore entra allora in decomposizione, e ciò comporta un avvelenamento settico (un avvelenamento del corpo dovuto alle sostanze putride che passano ogni giorno dalla massa in decomposizione al resto del corpo). Questa setticemia cronica (setticemia: avvelenamento settico dei sangue) dà, a sua volta, seguito alla cachessia, che è lo stato in cui lo sviluppo cellulare dell'intero organismo viene cronicamente colpito dall'avvelenamento settico.

Quando il processo che abbiamo appena descritto si verifica in un tumore, lo si può chiamare cancro. La trasformazione di un tumore benigno in un tumore maligno è avviata dall'ostruzione del circuito sanguigno e dall'asfissia cellulare che ne consegue. A partire da questo momento, non esiste alcun fattore estrinseco al tumore, sia patologico, sia eziologico, che possa influire in qualche modo su di esso. L'indurimento delle ghiandole linfatiche vicino al tumore costituisce il primo segno della sua trasformazione maligna.

Come dice il dottor Tilden: «Che il cancro sia mortale, non ha nulla di particolarmente incomprensibile. Un cancro non è altro che sepsi, il prodotto mortalmente virulento della putrefazione dei tessuti, che si trova nelle ferite e nelle appendiciti mal curate, nella febbre puerperale nonché in molti altri risultati dell'incommensurabile e catastrofica ignoranza medica.
E’ lo stesso tipo di avvelenamento mortale che si manifesta dopo un aborto (sia esso "legale" o "criminale"), oppure in occasione dei parti, quando l’ostetrico, o supposto tale, è in realtà un dilettante che raffazzona i parti per affrettarsi ad andare sul campo da golf o a teatro, lasciando così prive di cure le mutilazioni provocate dai suoi interventi rapidi e anormali».
Un certo numero, in verità molto esiguo, di casi di cancro sono finiti con una guarigione. Generalmente, tuttavia, è lecito dire che quando un tumore è diventato maligno la guarigione è impossibile.
Tutti i palliativi quali droghe, operazioni, raggi X, radio e gli altri tipi di cura, che i medici non si fanno scrupolo di sperimentare sui propri malati, sono crudeli ed inumani.
La legge dovrebbe obbligare i medici che praticano tali atti di crudeltà ad astenersi dal farlo od a smettere di praticare la propria professione.

Tratto dal libro del Dottor Herbert M. Shelton: “Tumori e cancri: loro sparizione naturale per autolisi”

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