17 gennaio 2009

La crisi finanziaria continua...

Se la politica non si affranca dalla finanza
Alfonso Tuor
La crisi economica e finanziaria morde con sempre maggiore forza. I dati, che vanno dalla forte diminuzione dei consumi americani alla contrazione del 2% nel quarto trimestre dell’economia tedesca, fino al calo delle esportazioni cinesi, dimostrano che le condizioni dell’economia mondiale sono peggiori di quanto ci si potesse aspettare. Inoltre, concluso il periodo delle ferie natalizie, è tornato alla ribalta il problema centrale di questa crisi: lo stato comatoso del settore finanziario. Infatti non vi sono miglioramenti delle condizioni di salute del sistema bancario, nonostante le ricapitalizzazioni degli istituti di credito americani ed europei operate dagli Stati e i continui interventi delle banche centrali.
A riprova di questa tesi si potrebbero citare numerosi fatti. Citigroup è comunque il più significativo. Il colosso bancario americano è ancora sull’orlo della bancarotta nonostante ricapitalizzazioni per complessivi 89 miliardi di dollari da parte dello Stato americano e sebbene Washington abbia concesso garanzie per 309 miliardi di dollari. Il grande conglomerato finanziario sta ora vendendo «pezzi» delle sue attività e pensa di creare (con il sostegno implicito delle autorità) una «bad bank» dove parcheggiare oltre 600 miliardi di titoli tossici.
La situazione non è migliore in Europa, come hanno confermato i casi di Commerzbank nazionalizzata di fatto dal Governo tedesco, e di Deutsche Bank che ha preannunciato una perdita di circa 7,5 miliardi di franchi nel quarto trimestre dell’anno scorso. Persino una banca ritenuta solida come il colosso inglese HSBC sarà costretta, secondo gli analisti di Morgan Stanley, a varare un aumento di capitale di ben 30 miliardi di dollari. In questo contesto non sorprende che l’attenzione sia tornata su UBS, la quale il prossimo 10 febbraio comunicherà una perdita per l’esercizio 2008 nettamente superiore ai 20 miliardi di cui finora si vocifera.
Lo stesso presidente della Federal Reserve, Ben Bernanke, ha dovuto ammettere che non vi è alcuna speranza di uscire da questa crisi se non si risana il sistema bancario. Bernanke ha addirittura precisato che risulterà insufficiente anche il pacchetto fiscale di Obama da 800 miliardi di dollari. E si può aggiungere tranquillamente che sorte analoga toccherà al taglio di mezzo punto dei tassi deciso ieri dalla Banca centrale europea e al pacchetto fiscale di 50 miliardi di euro annunciato all’inizio di questa settimana dal Governo tedesco. Il motivo è semplice. La crisi finanziaria ha già investito l’economia reale. Le industrie europee, americane e di altri continenti si trovano strette in una tenaglia: da un canto, i fatturati diminuiscono rapidamente (in alcuni rami si registrano contrazioni del 30%) e, dall’altra, l’accesso al credito è chiuso, poiché il sistema bancario è riluttante a concedere nuovi crediti, oppure è estremamente oneroso, con tassi di interesse molto elevati nonostante il ribasso del costo del denaro attuato dalle banche centrali. La conseguenza è un circolo vizioso: la recessione produce nuove sofferenze che aggravano la crisi bancaria, le banche concedono meno prestiti rendendo più profonda la recessione e così via. In pratica, il settore bancario non svolge più (non concedendo crediti) il suo ruolo di trasmissione degli impulsi di politica monetaria. Quindi, anche il taglio dei tassi europei riduce i costi di rifinanziamento delle banche, ma ha scarsa o nessuna influenza sull’accesso e sul costo del credito delle imprese industriali.
Ora, l’oligarchia finanziaria che ha causato questa crisi, con l’autorevole sostegno della Federal Reserve, sostiene una tesi semplice: non si può uscire dalla crisi, se prima gli Stati non risanano il sistema bancario. Questa tesi, apparentemente seduttiva, dimentica di esplicitare i costi enormi di questo salvataggio. Un’idea della grandezza dei capitali necessari la si può ricavare dalle migliaia di miliardi finora spesi da Stati e da banche centrali senza ottenere alcun risultato apprezzabile. Negli Stati Uniti si sono già spesi 8.000 miliardi di dollari, nell’Unione Europea la cifra è di poco inferiore. Per risanare i catastrofici bilanci delle grandi banche occorrerebbero altre migliaia di miliardi.
Se non si crede alla teoria che i soldi possano essere stampati all’infinito senza alcuna conseguenza negativa, bisogna concludere che i governi devono scegliere chi aiutare, poiché non hanno le risorse finanziarie per salvare sia le famiglie sia le imprese sia le banche. È quanto ha detto recentemente il ministro italiano Giulio Tremonti, il quale teme che il tentativo di salvare tutti farà sì che non si riuscirà ad aiutare nessuno e si provocherà unicamente un ulteriore peggioramento della crisi. Come sostiene Tremonti, bisogna ammettere realisticamente che si può salvare solo la parte buona del sistema bancario e concentrare le risorse per rilanciare l’economia, per difendere l’occupazione e il sistema industriale. Per essere più chiari, fino a quando non si cominceranno a fare queste scelte non vi è alcuna possibilità che si esca veramente dalla crisi. Il costo di salvare tutto e tutti rischia di essere tale da incrinare la fiducia nei titoli con cui gli Stati finanziano i loro disavanzi pubblici e nelle stesse monete. A questo riguardo già si cominciano ad avvertire alcuni segnali preoccupanti.
La scelta non riguarda unicamente il governo americano e i governi europei. Spetterà anche al Consiglio federale se e quando i sette saggi saranno chiamati a chinarsi di nuovo sul dossier UBS (e tutto lascia supporre che questo appuntamento non sia molto lontano).
In attesa che le élites politiche si affranchino dallo stato di dipendenza nei confronti dell’oligarchia finanziaria, saremo costretti a confrontarci con l’aggravarsi della recessione, con continui interventi miliardari per salvare le banche e pacchetti di rilancio che non produrranno gli effetti desiderati, ma solo un sollievo temporaneo. Insomma, continueremo ad assistere al peggioramento della crisi.
16.01.09 12:44:05
http://www.cdt.ch/articolo.php?id=1

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